Di Maria Dore
“Limitazioni alla libertà di stampa e dell’arte”.
È il punto 23 del programma che Adolf Hitler stila nel 1920. Prima di questo, uno degli ultimi della lista, c’è la sua vera ossessione: la purezza e la tutela del sangue tedesco, lo spazio vitale, la Germania che deve tornare grande dopo lo schiaffo di Versailles. Ma quando Hitler diventa cancelliere nel Gennaio del 1933, il primo passo è in direzione molto simile a quel punto 23 pensato un decennio prima: bisogna abolire le opposizioni. L’incendio al Reichstag ha lo scopo di neutralizzare i partiti della sinistra tedesca, che vengono additati come responsabili. Tra arresti e fughe volontarie, la desertificazione delle forze di opposizione procede con la tornata elettorale che vede il trionfo che Hitler cerca da tempo: 43,9% dei voti al partito nazionalsocialista. Paradossalmente, le mediazioni col partito centrista cattolico e i nazionalisti equivarranno, per questi ultimi, ad un suicidio politico; coi loro voti si approva il Decreto dei pieni poteri, che permetterà quasi immediatamente di mettere fuori legge i socialdemocratici. Ma, subito dopo, Hitler riserverà lo stesso analogo trattamento agli alleati provvisori. Sciolti i partiti tradizionali, il giorno 14 luglio una nuova legge vieta la costituzione di nuove associazioni politiche. La Germania del grande dittatore ha il suo grande partito. L’unico.
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