Nanneddu meu, Nanneddu meu. Peppino Mereu aveva solo 29 anni, quando capì che non sarebbe vissuto a lungo. Un male incurabile se lo stava portando via. Era nato il 14 Gennaio del 1872 a Tonara. Su mundu er gai. Il mondo di Peppino Mereu era la sua Sardegna, che si era fatta sempre più povera, verso il finire dell’800. A sicut erat non torrat mai. Erano anni difficili. La crisi agricola, con carestie ripetute, imperversava. Subito dopo l’Unità d’Italia lo Stato, con la guerra doganale nei confronti della Francia, attivò quel protezionismo necessario per lo sviluppo dell’industria del nord Italia, danneggiando, irrimediabilmente, l’agricoltura del sud. Ma non era solo la crisi contingente. Il mondo che rimpiangeva il poeta di Tonara era quello di “su connottu”. Un mondo ugualmente povero e difficile, ma che riusciva, in qualche modo, a sfamare i suoi figli. Poi vennero le riforme, le chiudende, il catasto, e persino i carabinieri, dove lo stesso poeta, per cinque anni, aveva prestato servizio, prima di essere esonerato per motivi di salute. Tutto il sistema, il regime fondiario, i rapporti di produzione erano ormai mutati. Quello che doveva delinearsi come processo, con la graduale formazione di una borghesia agraria e di una economia di mercato, venne imposta per decreto. Millenni di assestamento nei rapporti di produzione e di gestione comune delle terre furono stravolti in pochi decenni, senza che vi fosse stato il tempo di convertire l’economia nel nuovo sistema. In questa fase transitoria e delicata di fine ‘800, con il passaggio dallo Stato sabaudo a quello italiano, la Sardegna finì nel vortice degli speculatori e degli sfruttatori. Questo fu il mondo che visse il poeta, giovane di buona famiglia cresciuto in un paese dell’interno, dotato di straordinaria sensibilità e del dono non comune della parola. La Sardegna dei versi del poeta si era ridotta a far mangiare ghiande e castagne ai suoi figli e aveva aperto le porte allo straniero che ne aveva fatto un deserto, con lo sfruttamento delle risorse e il disboscamento. Oggi è normale criticare lo Stato e il sistema, è una retorica persino scontata. Ma allora era diverso. Allora, verso la fine dell’800, nel dire certe cose, si poteva finire in carcere o avere grossi problemi, che difatti Mereu ebbe in vita, sotto forma di emarginazione e discriminazione. Peppino Mereu ha vissuto di stenti per tutta la vita. Ciò non gli ha impedito di denunciare con acume e lucidità i mali dell’isola e i vizi dei potenti. Mereu non era solo un valente poeta, ma anche e soprattutto un improvvisatore provetto, riuscendo vincitore, nonostante la giovane età, in diverse gare di poesia estemporanea. Un’arte orale che ancora oggi, in Sardegna, sopravvive e rappresenta un originale e significativo patrimonio culturale immateriale. Peppino Mereu va ricordato anche per essersi distinto per l’utilizzo della lingua sarda nella poesia scritta, insieme a poeti come Melchiorre Murenu e Montanaru. Significativo il paragone che sovente viene fatto con Sebastiano Satta, più portato a seguire lo stile declamatorio e altisonante corrente nella letteratura italiana dell’epoca. Mereu restava, pur nella sua contaminazione con le correnti artistiche europee e italiane, si pensi alla scapigliatura, portato alla trattazione di temi sociali e alla denuncia, ma con una poetica a tratti tagliente e sardonica, a tratti intimista e riflessiva, che si manifestava con grande sensibilità nelle confidenze, espresse in perfetta forma lirica, al suo caro amico Nanni Sulis. L’eredità di questi poeti in lingua sarda viene spesso sottovalutata. E’ un errore. Sono grandi poeti, come grandi sono i loro eredi, da Benvenuto Lobina a Pedru Mura a Antonino Mura Ena a Francesco Masala. Grandi poeti in quanto tali e in quanto eredi di una grande tradizione di oralità tipica dell’area del Mediterraneo e della Sardegna. Ci vorrebbe qualcosa di più, da parte delle istituzioni e da parte della Regione, per valorizzare questo grande patrimonio culturale. Penso ad una accademia della lingua sarda che studi e valorizzi la tradizione della poesia estemporanea, oltreché la letteratura sarda. Nanneddu meu, oggi non mangiamo più le ghiande con la terra, ma per certi versi le cose non sono tanto cambiate. I corvi, tristi e molesti, discordia degli onesti, ad esempio, ci sono ancora.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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