Ogni volta che un articolo o un servizio televisivo mi ricordano il calvario giudiziario di Enzo Tortora sento il sangue ribollire di rabbia e indignazione.
Oggi mi è capitato di rileggere i titoli con cui i quotidiani commentavano le motivazioni della sentenza di primo grado con cui la decima sezione del tribunale penale di Napoli, nel settembre del 1985, aveva condannato il presentatore a dieci anni, negandogli ogni attenuante.
Queste motivazioni vennero depositate il 14 gennaio del 1986 e descrivevano Tortora come “un cinico mercante di morte”, come titolava L’Unità riportando un brano della sentenza che, a sua volta, ricalcava quanto detto nella requisitoria dal procuratore Diego Marmo.
Secondo i giudici, Tortora era uno spacciatore di droga prima al servizio della mala milanese e del boss Francis Turatello, ucciso a Badu ‘e Carros nel 1982, poi della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo.
I giudici smentivano con forza la tesi del complotto contro l’accusato, insistevano sull’affidabilità dei pentiti che avevano puntato l’indice contro il conduttore di Portobello e ritenevano Tortora un impostore.
Vennero a loro volta smentiti dalla sentenza di secondo grado, che assolse con formula piena Tortora dimostrando la totale insussistenza delle accuse da parte di pentiti ingolositi dalla prospettiva di una riduzione di pena.
La parola fine venne poi scritta dalla Cassazione, che confermò l’assoluzione nel marzo del 1987. Tortora era nel frattempo diventato europarlamentare, ma con un gesto di nobile coerenza aveva rinunciato all’immunità.
Tornando alle motivazioni della sentenza di condanna, ne riporto un breve estratto nel quale i giudici cercano di dimostrare l’assoluta inaffidabilità di Tortora: “Sì ricordi in particolare che, com’è noto, nel periodo Istruttorio il suo arrivo a Napoli in autombulanza per sottoporsi al confronto con Andrea Villa e Gianni Melluso fu una vera e propria simulazione di uno stato di sofferenza Inesistente (con accentuazione di una patologia di non eccessivo rilievo) che gli fu utile anche per ottenere la conversione dallo stato di detenzione nel regime di arresti domiciliari. Guarda caso a distanza di pochissimo tempo il Tortora non solo stava bene, ma era anche In condizioni di affrontare lo sforzo di una campagna elettorale lunga, intensa e stressante”.
Era così in buona salute, Enzo Tortora, che il 15 maggio del 1988, un anno dopo l’assoluzione, morì di cancro.
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Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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