«Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi: sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo». Il 13 settembre del 1592 moriva in Francia Montaigne. Basterebbero queste poche parole tratte dai suo Saggi, scritte cinque secoli fa, per spiegare perché Michel De Montaigne sia tuttora considerato uno dei più illuminati pensatori della storia. La profonda convinzione di non essere il centro del mondo – benché nelle sue opere racconti l’uomo partendo da sé stesso – il rifiuto di ogni verità imposta e dei manicheismi, il suo agnosticismo religioso, la contrarietà ferma alla pena di morte, l’odio per la caccia e per ogni forma di barbarie farebbero del pensatore nato a Bordeaux un filosofo attualissimo ancora oggi. Il suo Diario di viaggio, scritto durante il viaggio in Italia, Germania e Svizzera compiuto tra il 1581 e il 1582, comprende una serie ricchissima e preziosa di informazioni e dimostra l’umiltà di un uomo cui non bastava la propria vastissima cultura ma aveva bisogno di vedere e toccare l’oggetto delle sue cronache e delle sue riflessioni. Montaigne, insomma, aveva capito cinque secoli fa quel che molti politici venditori di odio non riescono a capire ancora oggi.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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