Nessun altro mezzo espressivo ha come il cinema la possibilità di far conoscere e al maggior numero di persone. E poiché da questo suo enorme potere deriva anche la sua responsabilità è necessario un uso perfetto di ogni fotogramma
C. Zavattini, 1952
Vi sono uomini cui destino- per chi ci crede- e talento riservano il privilegio di legare il loro nome a movimenti culturali capaci di segnare la storia di un paese. Tra questi c’è Cesare Zavattini, uno dei padri fondatori del Neorealismo italiano nella sua attività di sceneggiatore al fianco, tra gli altri, di Vittorio De Sica.
Ancora prima del miracolo economico e con gli strascichi della guerra ancora avvertibili nella società, l’Italia vedeva il formarsi di quel movimento cinematografico che sarebbe riuscito a coniugare arte e dovere del racconto della realtà. Un binomio che è possibile riscontrare in una frase dello stesso Zavattini: “Un giorno siamo usciti dal buio di una sala cinematografica e gli strilloni gridavano che c’era la guerra”. Come a dire, il cinema non può scordarsi della realtà che c’è fuori, pur non liberandosi totalmente dell’elemento fantastico che gli è proprio.
Allora, via eroi e trame inverosimili, è il tempo dei piccoli lustrascarpe di Sciuscià ( Oscar miglior film straniero e nomination per la miglior sceneggiatura nel1948), com’è tempo di pedinare con la cinepresa Antonio Ricci alle prese col suo dramma: la disperata ricerca della bici senza la quale perderà il lavoro (Ladri di Biciclette, Oscar come miglior film straniero e nomination miglior sceneggiatura nel 1949).
Ecco, Zavattini e la modernità del Neorealismo sono la scena finale di questo film, coi volti e le lacrime dei protagonisti,Lamberto Maggiani e Enzo Stajani, gli “attori non attori” sui quali viene cucito addosso il paradigma del “l’ingrandimento abnorme” che lo sceneggiatore identificava come uno dei suoi principi: il dramma che nasce da un fatto apparentemente innocuo, come, appunto il furto di una bicicletta.
Dice del Neorealismo Abbas Kiarostami, esponente di un cinema, quello iraniano, tra i più celebrati a livello mondiale e che molto si fonda sull’analisi del reale:
“Il Neorealismo ha influenzato e sorretto molto il mio cinema. Per me il cinema non vuol dire western, non vuol dire assassini, non vuol dire prostitute, non vuol dire ricchezza falsa e costruita. Ma vuol dire la realtà che ci è accanto e personaggi che potrebbero essere i nostri vicini di casa”
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