È il 13 giugno del 1982 e sul circuito di Montreal si corre il Gran Premio del Canada. La Formula uno è ancora scossa per la scomparsa, appena un mese prima, del pilota della Ferrari Gilles Villeneuve, rimasto ucciso in un incidente avvenuto durante le prove del Gran Premio del Belgio, a Zolder. Villeneuve era canadese e quel fine settimana, fin dalle prove, è caratterizzato dalla grande mestizia per l’assenza dell’idolo del pubblico locale. Quel 13 giugno, in fondo alla griglia di partenza, è schierata la Osella di un giovanissimo pilota italiano. Si chiama Riccardo Paletti, è milanese e due giorni lo separano dal compimento del 24esimo compleanno. Ha esperienze in Formula 3 e Formula 2, qualche buon piazzamento ma non ha mai dimostrato di essere un asso al volante. Non è neppure un talento precoce, perché la passione per l’automobilismo lo ha colto quando aveva già superato la maggiore età. Però Riccardo Paletti è figlio di un ricchissimo manager lombardo che offre al figlio ogni possibile aiuto per bruciare le tappe. Erano anni in cui le scuderie sceglievano il pilota anche in base a quanto questi sapeva contribuire al budget della stagione, attraverso sponsor e sostanze proprie. E così il sedile della Osella per la stagione 1982 è suo. Si presenta a guidarla questo giovanotto magro, la faccia scavata da secchione mascherata da ingombranti occhiali da vista, un volto reso ancora più minuto da una disordinata montagna di capelli. Paletti ha sempre un’espressione triste, malinconica, sorrisi tirati ma mai davvero convinti. L’esordio è difficile. Manca diverse qualificazioni, altre volte entra in griglia per un pelo, ma soffre la concorrenza dell’esperto compagno di squadra, il francese Jean Pierre Jarier. Poi viene il Canada. Paletti si qualifica col 23esimo tempo e parte dall’ultima fila, la madre in tribuna a seguire la sua gara. Semaforo rosso, via. Partono tutti tranne la Ferrari di Dider Pironi, piazzata in pole position: il francese si sbraccia per segnalare il problema tecnico, ma la direzione della corsa non ritiene di dover sospendere la procedura. Il bolide di Maranello si pianta in mezzo alla pista, il resto del gruppo lo sfila, chi lo schiva a destra e chi a sinistra. Paletti arriva all’altezza della prima fila lanciato a 180 all’ora, non vede l’ostacolo e lo centra in pieno. La sua monoposto viene mutilata del muso, si accartoccia, poi prende fuoco. Il pilota resta immobile nella monoposto, privo di sensi.
I soccorsi sono immediati, vi partecipa anche Pironi. Paletti respira i gas tossici combusti ed ha subito un grave trauma toracico. Lo estraggono dall’abitacolo, ma muore dopo pochi minuti all’ospedale. È, la sua, una delle carriere più brevi della Formula 1, è Riccardo Paletti uno dei martiri più dimenticati del mondo dell’automobilismo. Ucciso a 23 anni dal suo stesso sogno, il sogno di correre in Formula 1.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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