All’età di otto anni ero entrato in fissa per Goldrake, che ancora oggi ricordo come il più appassionante tra i cartoni animati di cui sia stato spettatore.
Mamma si stava seriamente preoccupando e anche un po’ spazientendo, perché non c’erano i giocattoli di oggi e allora io, strappate le pagine di un quaderno, le ritagliavo e le sagomavo in modo tale da poterci fare il disco volante, composto da due fogli sovrapposti tra i quali infilavo Goldrake, espellendolo dalla sua corazza rotonda quando la battaglia spaziale si faceva più tosta.
Sparpagliavo così per casa un carnevale di Venezia di coriandoli di carta, dal che si capisce l’irritazione di mia madre alla quale, una volta, risposi con un pianto così accorato che lei si sentì in colpa: aveva capito che io a Goldrake gli volevo proprio bene.
Però non ero il solo.
Se andate a guardarvi i giornali del 13 gennaio del 1979, quarantaquattro anni fa, troverete che tutte le prime pagine dei quotidiani segnalano la fine di Goldrake, animazione giapponese che per i tempi era una vera novità del palinsesto, almeno quanto novità fu il Grande Fratello di vent’anni dopo.
Il cartone si era guadagnato l’attenzione mia e di milioni di altri bambini e, di conseguenza, anche l’attenzione dei mezzi di comunicazione, nonché di un parlamentare che presentò un’interrogazione per chiederne la rimozione dalla programmazione della Rai, ritenendo le trame troppo violente e diseducative..
Il Corriere titolò “E’ morto Goldrake”, perché nel finale aperto della seconda serie restava il dubbio che Atlas ufo robot, trasformandosi un raggio missile, ci avesse lasciato le penne.
Il giorno seguente Goldrake si meritò addirittura la terza pagina, quella culturale, perché il dolore dei fan come me sembrava inconsolabile.
Sopra Goldrake, in quella stessa pagina, un’intervista di Roberto Gervaso a Coretta King, vedova di Martin Luther.
Però subito dopo, alla stessa ora, la Rai iniziò a trasmettere Happy Days e le smargiassate di Fonzie.
Ma non fu sufficiente per elaborare il lutto: ero troppo piccolo perché le capacità seduttive del nullafacente dal giubbotto di pelle nera potesse colmare la perdita del gigante d’acciaio che le suonava a Vega.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design