Sassari, in quella seconda settimana di gennaio, è una città annientata dalla morsa del freddo e del fascismo che, sebbene caduto da parecchi mesi, continua a tenere ben saldi alcuni dei suoi oppressori ai posti di comando. È una Sassari affamata quella che sente nascere dentro di sé la rabbia smisurata del leone, la furia omicida e incontrollata accresciuta dal sangue del cavallo. Il bisogno di riempire la pancia vuota strangola i giovani, gli uomini e le donne dei quartieri popolari, li aggredisce a ondate, li strozza insieme alla prostrazione e all’impotenza.
Da oltre due mesi la distribuzione di pasta, olio, carbone si è interrotta; sopravvive solo quella di una misera razione di pane a testa. L’economia di sussistenza ha permesso ai proprietari terrieri di serbare qualcosa nei magazzini, i piccoli funzionari sono riusciti a rastrellare, con inganni e raggiri, parte delle derrate contingentate. Prolifera il mercato nero. Ma nei quartieri più poveri, come le Conce o Bancali, i cittadini hanno lo stomaco vuoto, aprono le dispense sguarnite di viveri alla disperata ricerca di una razione di cibo.
Nel ventre vuoto di quei sassaresi cova la rivolta.
La mattina del 13 gennaio partono da varie zone della città uomini e donne che, impugnando un drappo rosso, si dirigono verso il Municipio minacciando l’occupazione. Tra le file dei dimostranti c’è anche un giovanissimo Enrico Berlinguer. Il giorno dopo gli scontri s’inaspriscono ulteriormente, alcuni forni vengono saccheggiati, un ragazzo del corteo pesca tozzi di pane da un sacco e li distribuisce alla folla affamata; un altro numeroso gruppo fa irruzione al mercato del pesce e arrivano i primi carri armati dell’esercito, insieme alle manganellate.
È in questo clima da Rivoluzione Francese che si muovono i primi arresti. È in questo clima da Far West che i giovani comunisti corrono a ripararsi nella loro sede di via San Sisto, dove poco dopo giungeranno i soldati a catturarne una trentina. Ma tra questi non c’è Enrico Berlinguer, che invece verrà arrestato qualche giorno più tardi con incriminazioni che spaziano dalla propaganda e apologia sovversiva antinazionale al disfattismo, oltre che alla razzia e al possesso d’armi. Le pene, se confermate, sarebbero pesantissime: fino a quindici anni di carcere. Berlinguer verrà chiuso per 14 lunghe ore in una cella d’isolamento e quel giovane, nel quale la Polizia individua il maggior perseguibile perché responsabile e istigatore della rivolta, risponderà con una lapidaria e solenne affermazione: – Dichiaro di professare idee comuniste – Ma nemmeno il questore Dino Fabris, che si narra fosse un ex appartenente all’Ovra, riesce a incriminarlo, nonostante abbia sistemato un suo infiltrato all’interno della Polizia per far pendere sulla testa di quell’imputato le denunce più pesanti.
Berlinguer e i suoi compagni verranno scarcerati il 25 aprile e successivamente prosciolti in istruttoria per non aver commesso il fatto. Quegli ardimentosi ragazzi usciranno tutti dal carcere tenendo strette al petto le loro idee comuniste e col merito di aver riposto in ultimo un sussulto rivoluzionario l’ambizione di mettere un punto finale a quel brutto capitolo di storia. E andare a capo.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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