Un giorno d’inverno William Gray stava male e doveva assolutamente chiamare il medico. A casa non aveva ancora il telefono e si recò presso una vicina fabbrica, ma gli negarono la telefonata in quanto il loro non era un telefono pubblico. Dalla necessità nacque l’idea che rivoluzionò il novecento: prima una cassettiera con le monetine e, successivamente, dei dischi metallici grigi o color rame con una o più scanalature: il 13 agosto 1889 il signor Gray brevettava il gettone telefonico.
Per quelli che hanno vissuto come me la loro adolescenza negli anni settanta, il gettone rappresentava l’anello di congiunzione tra se stessi e il mondo intero che si riduceva, a dire il vero, ai propri pochissimi amici (mica c’era Facebook) e alla fidanzata. Chiamare con il gettone era a volte un’impresa: file interminabili davanti alle cabine, molte delle quali non funzionavano poi, quando finalmente toccava a te e infilavi diligentemente i tuoi venti gettoni, dall’altra parte del filo non rispondeva nessuno. Era la disperazione. Dovevi pigiare il tasto rosso e un rumore di mitraglia restituiva tutti i gettoni. La cabina era però il guscio privato dove potevi dire molte cose senza che nessuno ti potesse ascoltare (sarebbe bello, per esempio, oggi, poter fruire ancora di una cabina per le nostre sguaiate telefonate sentite dall’universo mondo) e l’ultimo gettone era come “l’ultimo bacio”: disperatamente malinconico e deprimente. A volte si interrompeva tutto sul più bello: “TI volevo dire che…..” Ecco. Le nostre giornate erano piene di speranze e di illusioni. Magari ci voleva dire che ci amava, ci pensava, non poteva stare più senza di noi”. Il gettone era una piccola ed ermetica poesia ormai completamente surclassata dai cellulari e da whatsapp. Non chiediamo più “mi pensi?” ma, più prosaicamente: “dove sei?” senza aggiungere parole ma una semplice e sterile faccina.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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