12 dicembre 1985, Tirana. Quattro donne e due uomini si dirigono verso l’ambasciata italiana mentre in città è in corso una manifestazione. Il grande dittatore, Enver Hoxha, era morto da pochi mesi ma il popolo albanese aveva l’obbligo di continuare a versare lacrime finte. I quattro attraversano il cancello dell’ambasciata italiana. Parlano un italiano stentato e dicono cose a vanvera ma il militare albanese che sorveglia l’ìngresso non può saperlo. Li lascia passare, credendoli italiani, ospiti dell’ambasciata.
Comincia così l’incredibile odissea dei sei esponenti della famiglia Popa, protagonisti di una delle più delicate crisi diplomatiche che l’Italia si sia ritrovata ad affrontare. Per cinque anni, i fratelli Popa attenderanno in un seminterrato dell’ambasciata di poter lasciare il Paese delle aquile e approdare in terra italiana con lo status di rifugiati. Per cinque anni, Italia e Albania giocheranno a braccio di ferro sulla pelle di questi ragazzi, perseguitati in patria dal Sigurimi (i servizi segreti del posto) a causa delle accuse, rivolte al loro padre, di aver collaborato con i fascisti italiani ai tempi dell’occupazione.
Quando, nel 1990, il segretario generale dell’Onu, Perez de Cuellar, riesce a trovare il compromesso ideale, i sei fratelli stanno come chiunque avesse trascorso cinque anni all’interno di una stanza. In Italia arrivano in aereo, grazie a uno speciale passaporto Onu. L’Italia, dopo averli salutati come eroi, si dimenticherà presto di loro. Finiranno per essere lasciati al loro destino di richiedenti asilo, alla burocrazia arrogante degli uffici, alla solitudine di un appartamento in un palazzo della periferia romana e agli sguardi torvi degli inquilini italiani. Non erano più eroi, solo fastidiosi immigrati. All’indomani della partenza dei Popa, migliaia di albanesi avevano seguito il loro esempio, riversandosi nelle ambasciate, imbarcandosi in massa verso le nostre coste e regalandoci il primo stupore delle carrette stipate di corpi ammassati che spuntano all’orizzonte. Stupore al quale ci saremmo abituati ben presto.
I sei fratelli Popa trovarono un’altra Italia, molto diversa da quella che avevano creduto di conoscere guardando di nascosto i canali della Rai. La vera Italia non aveva niente a che fare con il loro sogno. Lena, una delle quattro sorelle Popa, finì addirittura per fare il percorso inverso. Si imbarcò a Bari per tornare in patria e scoprire che la casa di famiglia, nel frattempo, era stata occupata da altri. Il regime era stato abbattuto ma nessun funzionario statale poté riservarle altro che lo stupore di rivedere uno dei fratelli Popa in terra d’Albania. Lena scoprì che tutto ciò che aveva era svanito, insieme alla sua idea di Italia e alla sua voglia di una vita degna di essere vissuta. Il viaggio di ritorno fu l’ultimo. Lo concluse tra le onde, nella notte.
La storia dei fratelli Popa è splendidamente raccontata da Ylljet Alicka nel suo libro “Il sogno italiano” per i tipi di Rubbettino. Per chi ha voglia e tempo di approfondire.
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