L’hanno chiamata strategia della tensione e per quindici anni ha stretto l’Italia in una morsa di terrore: bombe che esplodono in luoghi pubblici, sui treni, nelle piazze, lasciando cadaveri sul terreno e centinaia di feriti, senza mai una vera rivendicazione. Uno stillicidio che ha un suo preciso momento d’inizio. Sono le 16,37 del 12 dicembre del 1969, è un venerdì e la Banca nazionale dell’Agricoltura è affollata di contadini giunti dalle campagne attorno a Milano per la fiera settimanale. La bomba è nascosta in una borsa e contiene sette chili di tritolo, quando esplode scaraventa le persone sulle pareti dell’edificio e lascia una mostruosa voragine nera sul pavimento. A Sergio Zavoli, il giornalista Corrado Stajano racconta nel libro La Notte della Repubblica quel che ha visto, subito dopo lo scoppio: pezzi di cadaveri ovunque, i muri macchiati di sangue, l’odore acre della carne umana bruciata. Moriranno in diciassette, ottantacinque persone resteranno ferite. Piazza Fontana è stata una strage fascista, ma la giustizia non ha mai punito i colpevoli pur avendoli individuati. Rallentata ed ostacolata nel suo corso, la giustizia, da depistaggi e lungaggini non casuali, elementi costitutivi della strategia della tensione. Prima l’arresto dell’anarchico Pietro Valpreda, incastrato dalla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi che sosteneva di averlo accompagnato nei pressi di Piazza Fontana poco prima dell’esplosione. Una testimonianza probabilmente estorta, ma sulla quale non si potrà fare luce per la morte di Rolandi, avvenuta due anni dopo. Poi il misterioso volo dal secondo piano della questura di Milano dell’anarchico Pino Pinelli, durante l’interrogatorio degli uomini del commissario Luigi Calabresi. Pinelli e Valpreda con quella bomba non c’entravano nulla. C’entravano qualcosa, invece, i neofascisti di Ordine Nuovo Franco Freda e Giovanni Ventura, come un’ultima sentenza di Cassazione sancirà a tempo scaduto, quando ormai nessun colpevole era stato individuato dai tribunali italiani. E non c’entrava nulla con la morte di Pinelli il commissario Calabresi, eliminato il 17 maggio del 1972 da un commando di Lotta Continua, al culmine di una vergognosa campagna di denigrazione e calunnie condotta da quello stesso giornale. Io quel 17 maggio del 1972 compivo un anno. Ho dovuto leggere e studiare tutto per farmi un’idea di quel che per ragioni anagrafiche non ho vissuto. Dovrebbero farlo anche i ragazzi di oggi, affinché l’orrore di quegli anni di piombo non venga disperso e dimenticato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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