Adesso che tutto si è fermato dopo la centrifuga delle notizie, dei depistaggi, del battere e levare, delle urla e degli strazi, delle piste nere, delle strategie delle tensioni, dei funerali, delle lacrime che inumidivano il volto di troppe madri e padri, figli e nipoti, nonne e nonni. Adesso che tutto è pulito, spazzato, dipinto di nuovi colori, con nuovi alberi e nuovi luoghi, nuove auto, nuovi semafori, nuove anime. Adesso che siamo seduti sul cucuzzolo della storia possiamo provare a dire cosa è stata Piazza Fontana, quella bomba che il 12 dicembre 1969 ha squarciato le coscienze, ha costretto le persone ad interrogarsi. Avevo dieci anni e quelle immagini in bianco e nero che irruppero nel nostro tinello me le ricordo: c’erano la polvere e le parole, c’erano gli inviati speciali e gli occhi di donne e uomini che parlavano senza dire niente. E’ stato il mio primo grande esercizio della “pesantezza del silenzio”, lo stesso che avrei vissuto con la strage di Brescia, Bologna, l’Italicus, Ustica, il sequestro Moro, la morte di Falcone e Borsellino, quello di Stefano Cucchi. Quel silenzio con un grosso rumore di istituzioni, di cattive istituzioni, di pezzi di stato che non mi rappresentavano e non mi rappresenteranno mai, quella vergogna che ancora provo al maledetto ricordo. Il 12 dicembre 1969 avevo dieci anni. Non sapevo di Valpreda e di Pinelli e neppure di Calabresi. Aspettavo che il Cagliari vincesse lo scudetto e ricordo solo quella maledetta polvere che si intravvedeva dal mio enorme televisore. Quella polvere che si è rassodata ma produce, ancora oggi, una sorta di vergogna per chi ha ucciso tutti quelli innocenti. Avevo dieci anni e già mi portavo addosso la pesantezza del silenzio.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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