Ho riflettuto molto in questi giorni sul potere manipolatorio dei media. Niente di nuovo, ne parlano da sempre i sociologi e gli altri studiosi dei mass-media, (si ricorderà il decalogo di Chomsky), e tanto si è detto del rapporto perverso che lega i media al potere economico e politico. Tuttavia la vicenda del sindaco di Roma, con un accanimento mediatico senza precedenti anche da parte di testate giornalistiche fino ad ora abbastanza scevre da degradarsi in certe operazioni, ha rappresentato certamente un ulteriore salto all’indietro verso la libertà dell’informazione. Fino ad ora, infatti, il cosiddetto metodo Boffo, così come lo scoop sui calzini azzurri del Giudice scomodo, cioè tutte quelle operazioni di chiara persecuzione nei confronti del personaggio inviso al potere, caratterizzavano in misura certamente maggiore testate come Libero, Il Giornale, o i programmi Mediaset, che si sapeva appartenere a dei gruppi di potere ben individuabili. Recentemente un amico mi segnala una clip tratta da un programma polemista, dal titolo Forte e Chiaro, su un argomento che, per ragioni di lavoro, conosco molto bene. Il conduttore critica il decreto governativo che assorbirà il Corpo Forestale nei Carabinieri. E fin qui nulla di strano, perché è una manovra discutibile e parecchio criticabile. Ma le motivazioni del conduttore del programma, dal linguaggio spiccio e colorito, sono sorprendenti. In pratica sostiene che i forestali, quasi tutti assunti al Sud e abituati a non far niente dalla mattina alla sera, esperti in ristoranti, in mangiare bere e trombare, finiranno per essere immessi in una forza di polizia seria creando un sacco di problemi. Chiaro che il conduttore casca in un errore piuttosto comune, ovvero confonde gli operai dei cantieri forestali, protagonisti di uno scandalo dovuto alle tante assunzioni in Calabria e Sicilia, con il Corpo Forestale dello Stato, cioè con un corpo di polizia selezionato, che, peraltro, è pure presente in gran forza nelle Alpi. Errore comune per la gente comune, ma non per uno che fa il giornalista. Due amministrazioni molto diverse anche se accomunate dall’attribuzione di “forestali”. Un po’ come confondere un bagnino con la Guardia Costiera, o un operaio che aggiusta le strade con la Polizia Stradale. Una cantonata, insomma, clamorosa per un giornalista. Dico questo con il massimo rispetto per tutti i lavoratori, ma è chiaro che l’onore di chi veste una divisa con particolari funzioni di protezione civile e polizia giudiziaria viene gravemente leso da un atteggiamento di scherno e denigrazione così accentuato. La trasmissione proveniva da Tele Lombardia, quindi non da una tivvù privata di quelle propriamente improvvisate; e il giornalista è Roberto Poletti, uno piuttosto noto, frequentatore di salotti televisivi, editorialista di Libero, già direttore della famigerata Radio Padania, autore di libri polemisti e curatore del libro in cui Salvini esprime le sue teorie politiche. Insomma, di quella categoria là. Per carità, uno scivolone, seppur grave, nella carriera di un giornalista può capitare. Si sa com’è, la fretta di andare in trasmissione, le fonti che suggeriscono notizie sbagliate, e così via. Ma la sensazione è che, spesso, non tanto di errore si tratta, ma di vere e proprie manipolazioni della notizia. Assistiamo ad un sorta di fiume disinformante che ci soffoca, ci annega nel marasma delle notizie manipolate e della bufale, che gioca sul fatto che, in fondo, la gente da quella fonte fonda le proprie opinioni. Prendere o lasciare: o mangi questa minestra, o salti da quella finestra. E così l’informazione produce l’effetto esattamente opposto a quello a cui la sua missione dovrebbe condurre. Disinforma. L’obbiettivo è sempre lo stesso: istigare odio, veleno, rinforzare il pregiudizio, che si tratti di immigrati o dipendenti pubblici. Tra le patacche della rete e quella della televisione, insomma, è una bella gara di trivialità. L’importante è scavare solchi dentro le comunità di persone, dividere, mettere tutti contro tutti, distrarre dai veri problemi del paese in modo da continuare a rubare e a fottere il popolo come sempre. Il pensiero non deve essere mai approfondito, si deve rimanere in superficie, insieme al giudizio preconfezionato. Pensare? Giammai! Il popolino ignorante e bue si crogiola di avere qualche brandello sanguinolento da mettere in pancia, e ascolta pifferai sguaiati che altro non sono che abili servitori occulti del peggior potere. Quello senza nessuno scrupolo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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