11 settembre 2001 è per antonomasia da 15 anni una data scolpita nella memoria di tutti. Non ci sono santi. E’ la data che ha fermato il mondo, almeno quello occidentale. 11 settembre 2001. Il disastro delle torri gemelle che a guardarlo in televisione eri convinto si trattasse di un film americano. Troppo americano. Però è inutile ripercorrere ciò che accadde a New York quel giorno. Lo sapete tutti. Voglio raccontarvi invece il mio undici settembre 2001 perché io, come voi, quel giorno c’ero e perchè io, come voi, ricordo esattamente dove mi trovavo e cosa stavo facendo. Dunque, quel giorno, quello strano giorno ero in ferie. Perché il 12 settembre sarei dovuto partire per Budapest. Viaggio organizzato da tempo con molta curiosità. Era la prima volta che volavamo verso est, oltre la ex cortina di ferro. Il pomeriggio dell’11 settembre ero dunque ad Alghero e camminavamo, io e mia moglie, in via Gilbert Ferret per una passeggiata. Entrati in un bar notiamo che la gente osservava muta qualcosa di stupefacente: un aereo che entrava come il burro nelle torri gemelle. Un film tutto americano. Però la scritta rossa che appariva come sottopancia era quella della CNN e mi costringeva ad essere più attento. Quello che stava accadendo era reale. Ricordo che la gente osservava muta e pareva essere dentro un acquario. Rientrati frettolosamente a casa cominciammo a guardare la televisione, allora unico mezzo veloce, per comprendere ciò che stava accadendo. Ed era qualcosa vicino alla storia e non all’attualità. Noi eravamo in mezzo, impotenti, inermi, senza riuscire a comprendere la vastità di quell’odio. Il mio problema più grosso era legato alla partenza – peraltro in aereo con scalo tecnico a Milano – per il giorno successivo: il nostro viaggio di vacanza a Budapest. Telefonammo in aeroporto e ci assicurarono che il volo per Milano Malpensa era confermato. Il problema – lo capimmo a nostre spese – non era l’11 settembre, ma i giorni successivi. Quel 12 settembre dove a Milano ci attesero i nostri soldati in assetto di guerra: anfibi e mitra spianati. Cani, mascelle dure e sospettose nel reparto transiti di un aeroporto enorme pieno zeppo di tute verdi. Ci chiedemmo velocemente se tutto ciò avesse un senso, se conveniva partire per le nostre vacanze. Non per cinismo ma per paura forte che qualcosa, nel mentre, sarebbe accaduto e fuori dalla nostra patria tutto sarebbe stato più complicato. Ho sempre pensato al destino come l’orologio che detta il nostro tempo e le nostre scelte. Partimmo per Budapest. All’arrivo in aeroporto moltissimi militari ma con una scenografia che poteva starci: era un paese dell’Est, erano abituati alla guerra fredda, ai muri, all’essere diffidenti. In hotel ci accolsero con molta gentilezza e la nostra vacanza di sette giorni trascorse senza grossi problemi. Budapest e la sua bellezza ci aiutarono a smussare le paure. Tutti i giorni, a mezzogiorno, si facevano le file nelle edicole del centro dove si vendevano giornali italiani. Finivano subito. La gente aveva voglia di leggere per capire. Ci dissero che saremmo dovuti arrivare in aeroporto dieci ore prima della partenza del volo. Nessuno fiatò. Nell’albergo avevamo prenotato un taxi per dieci persone. Partimmo all’alba nonostante il nostro volo fosse previsto per il primo pomeriggio. Controlli severi e un immenso silenzio. Fu solo allora che cominciai a comprendere che il problema non era l’11 settembre (nonostante la terribile carneficina) ma i giorni e gli anni successivi. Cambiò tutto. Da quella vacanza cominciai ad imparare i modi veloci per imbarcare negli aeroporti del mondo: a togliermi repentinamente le scarpe, la cinta, l’orologio; a non avere con me acqua o liquidi superiori a 100 cl., a mostrare il computer e a sopportare tutto questo con una certa dignità. Dall’11 settembre 2001 siamo prigionieri del mondo. Un mondo costruito con la calma dei secoli e bruciatosi dentro un secolo breve. Ostaggi delle nostre paure e delle nostre scelte sbagliate, di guerre nascoste e di guerriglie mai dichiarate; ostaggi del petrolio e della fame, dell’avidità e dell’egoismo. Oggi, 11 settembre 2016, a quindici anni da quelle immagini da film americano, possiamo riflettere sui nostri passi in avanti, indietro e di lato che nel mentre abbiamo fatto. Provando a mantenere uno sguardo critico, al di la del terrorismo islamico, delle carneficine, delle guerre sbagliate e stupide, di quella democrazia che dovevamo esportare nonostante i trattati di antropologia ci spiegassero che la cultura è cosa altra oggi, 11 settembre 2016, ci dovremmo chiedere: ma noi, quel giorno, quel maledetto giorno quando le torri gemelle simbolo del potere e della perfezione si dissolsero in un attimo, oltre a chiederci il perché di quell’odio sordo, oltre a domandarci come mai potesse accadere tutto questo, abbiamo anche pensato a cosa sarebbe accaduto dal 12 settembre in poi? E abbiamo forse pensato che avrebbe dovuto vincere la mediazione tra i popoli? Forse lo abbiamo anche pensato ma poi, chissà come e perché abbiamo imboccato altre strade. Sempre più cupe e incomprensibili.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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