Sarebbe troppo scontato parlare oggi 11 settembre di quel giorno in cui tutto cambiò. Non basta dire: “tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo quel giorno”, lo abbiamo detto troppe volte; non basta aggiungere “il mondo probabilmente è peggiorato, proprio da quel giorno”, lo abbiamo ripetuto troppe volte. E allora? C’è un modo per provare a ricordare, ritornare su quegli attimi. Me lo ha suggerito un documentario che ha avuto oltre due milioni di visualizzazioni in pochi giorni: un documentario senza musica, senza effetti speciali, che racconta in maniera cruda quegli attimi tra la catastrofe di un aereo abbattuto su una torre che accarezzava il cielo e i momenti che portavano al suo definitivo crollo. Quel documentario è fatto di polvere. Costruito tra la polvere delle parole, dei gesti, degli occhi che non vedono. La polvere della paura, una coltre sottile di angoscia, di attesa, la polvere che cammina silenziosa e racconta. Racconta e dipinge in silenzio l’orrore. Quel documentario non analizza nulla, non ci porta da nessuna parte. Chiede alla polvere. E la polvere non risponde. Persone che vagano incerottate tra cravatte e giacche appannate, vestiti a tubino infagottati di grigio e fango sottile, gambe che camminano tra qualcosa di impalpabile mentre si ha la sensazione, quella si palpabilissima, che tutto stia crollando, che quel mondo di cravatte e di minigonne, di auto di lusso e tacchi a spillo stia per essere divorato dalla polvere. Ho gettato lo sguardo tra la telecamera che osservava senza chiedere nulla. Il mondo, quel mondo, che un attimo prima era un formicaio di possibilità, vagava all’unisono verso un unico e personale obiettivo: la sopravvivenza. Ho guardato il crollo delle torri gemelle dalla parte della polvere e ho capito che tutto è un punto di vista, un granellino di sabbia che distrugge l’ingranaggio, l’ordine mondiale. Chiedete alla polvere che sa avvolgere tutte le tragedie. Chiedete alla polvere se volete riportare la storia a respirare.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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