Giulio Andreotti e Aldo Moro in una foto del 27 febbraio 1978. ANSA
Il giorno 11 marzo 1978 nasceva il quarto governo Andreotti dopo una lunghissima crisi durata cinquantaquattro giorni. Quel governo passerà alla storia perché dopo appena cinque giorni dalla sua formazione le brigate rosse scriveranno una delle pagine di storia più complesse del dopoguerra del nostro paese: il 16 marzo 1978 rapiranno Aldo Moro uccidendola sua scorta. Eppure quello fu un governo importante perché ottenne la fiducia, per la prima volta nella storia, del Partito Comunista italiano guidato da Enrico Berlinguer. Fu il governo del compromesso che divenne – per il sequestro Moro – per forza di cose il dicastero dell’emergenza. Rileggere i nomi dei ministri ci porta, irrimediabilmente, in un mondo a molti sconosciuto ma per chi – come me – aveva intorno a vent’anni, quei nomi evocano tasselli di vita vissuta intensamente. Il ministro degli Interni era Francesco Cossiga che seppure in quegli anni costruì la carriera che lo portò a diventare prima presidente del Senato e successivamente Presidente della Repubblica, lo si ricorda soprattutto per la gestione molto opaca di tutta la fase dell’emergenza che durò dal 16 marzo e si concluse il 5 maggio 1978 con la morte da Aldo Moro da parte delle brigate rosse. Ordini sbagliati, (la richiesta di attuare il famoso piano zero presente solo ed esclusivamente nelle casseforti della Prefettura di Sassari) gli uomini della setta massonica P2 che muovevano le trame, il ricorso a veggenti che suggerivano dove si trovava il covo delle brigate rosse. Fu una direzione ministeriale che oggi chiameremo “pasticciata” e chissà cosa ne sarebbe uscito fuori con i mezzi mediatici odierni. Dentro quel governo c’erano ministri come Forlani, Bonifacio, Malfatti, Pandolfi, Colombo, Donat-Cattin, Tina Anselmi, Bisaglia e Scotti: un monocolore democristiano. Erano tempi duri, cattivi, lividi. Erano tempi non adatti ai sogni. Pareva tutto terribilmente ovattato. Personalmente non compresi lo sforzo del partito comunista a sostenere un governo come questo che venne ricordato per la gestione – sbagliata – del sequestro dell’uomo che, più di tutti, aveva voluto fortemente quel governo: Aldo Moro. Dopo quasi quarant’anni dall’avvenimento forse possiamo azzardare un’analisi storica: quel governo fu un tentativo sterile di provare ad andare oltre lo steccato, provare a dialogare con chi era stato considerato, da sempre, antagonista. Questo era l’auspicio di Enrico Berlinguer. Quel governo fallì miseramente e spiegò che era impossibile unire due mondi così contrastanti ed eticamente diversi. Riprovarci dopo molto anni ha portato – almeno osservando quanto accade in questi mesi – allo stesso risultato.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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