Piccolo e discreto, quasi anonimo. Eichmann non viene riconosciuto al momento della cattura dei suoi colleghi nazisti, nonostante il suo nome venga fatto più volte anche durante il Processo di Norimberga. Ma le sue fattezze non sono note. Non si faceva fotografare. Durante i raduni, quando tutti i gerarchi posavano in gruppo, si spostava nelle ultime file, nonostante quelle, di solito, siano riservate ai più slanciati per una semplice questione di democratica visibilità. Ma forse, quasi a prevedere il rischio nell’essere riconosciuto, sacrifica la più appagante vanità per una noiosa prudenza. E avrà ragione perché nella sua prima cattura del maggio 1945, si presenta col nome di Adolf Karl Barth, caporale d’aviazione. Nella seconda, luglio dello stesso anno, sarà Otto Eckmann. Il tatuaggio, quello del gruppo sanguigno sul braccio sinistro di ogni gerarca, in parte è stato rimosso, ma nessun problema, tanto non verrà controllato e non verrà considerato un comandante SS. Solo nel suo definitivo arresto a Buenos Aires, nel 1960, quella cicatrice verrà cercata eccome e sarà un’ulteriore prova della sua identità.
Segue le Ratline, le vie di fuga grazie alle quali diversi criminali nazisti riescono a raggiungere l’Italia, il Medio Oriente, la Spagna franchista, l’Argentina di Perón. Proprio in quest’ultima trova rifugio Otto Adolf Eichmann e qui d’ora in poi sarà Ricardo Klement. A raggiungerlo qualche tempo dopo, la moglie Vera e i tre figli.
Ma in Europa, c’è un uomo, un architetto ebreo, Simon Wiesenthal che collabora coi Servizi Statunitensi e più tardi anche col Mossad, l’unità creata per rintracciare e uccidere i nemici dello Stato di Israele che dedicò i suoi primi decenni alla cattura di terroristi e criminali di guerra.
Wiesenthal gestisce nel suo ufficio a Vienna, il Centro di Documentazione, un archivio di migliaia di dossier dedicati ai nazisti ricercati. Uno di questi dossier è dedicato ad Adolf Eichmann. Poche informazioni però, qualcuna inesatta e nessuna foto. Fino a quando si scopre, grazie alla rete di informatori costituita da ex deportati ed ex nazisti, che un’amica, forse amante di Eichmann, conservava un’immagine del volto del gerarca. Si riesce a ottenere così l’identikit da cui partire per ricostruire un volto invecchiato di quasi vent’anni.
Nel 1953 un barone austriaco, che condivide la passione filatelica con Wiesenthal, viene a sapere da un suo compagno d’armi, diventato istruttore militare in Argentina, che probabilmente Eichmann si nasconde proprio nella patria di Perón. La segnalazione però cade nel vuoto perché gli agenti USA e israeliani hanno diverse informazioni e credono che il latitante si sia rifugiato in Siria.
Nell’aprile del 1959 Simon Wiesenthal notò il necrologio di Frau Maria Eichmann, madre di Adolf. A salutarla, tra i parenti, Vera Eichmann. Stessa cosa accade nel febbraio 1960 quando a morire fu il padre di Eichmann, Adolf Karl. Anche in questo caso Vera Eichmann e i figli, comparivano nell’elenco delle persone più vicine. Non è una prova, anche se è una vedova che si è rifatta una vita, può aver conservato dei legami familiari con gli ex suoceri. Ma è comunque un piccolo suggerimento su quale pista seguire. Nello stesso anno anche le informazioni ufficiali ripartono dall’Argentina.
Ai funerali di Karl Eichmann, alcuni agenti si appostano per immortalare le persone presenti. Adolf non c’è ma ci sono i fratelli, molto molto somiglianti. Possono suggerire come è diventato quel volto che occupa quasi totalmente i pensieri di Wiesenthal.
Vera Eichmann si è quindi risposata, sua madre racconterà durante un interrogatorio informale che la figlia vive felice in Argentina col nuovo marito Ricardo Klement. Ora c’è anche il probabile alias con cui Adolf ha cambiato identità.
Seguendo le tracce di Vera e di Ricardo, si arriverà a scoprire che l’intera famiglia vive in una periferia di Buenos Aires. Verranno sorvegliati per diverso tempo e si studieranno gli spostamenti quotidiani dell’ex gerarca. Ora è un saldatore che lavora per la Mercedes-Benz e vive in via Garibaldi. Per recarsi al lavoro prende l’autobus la mattina e torna la sera dopo le 19,00.
Gli agenti del Mossad non hanno più dubbi, hanno studiato ogni dettaglio, comparato le foto di Ricardo e di Adolf, la forma delle orecchie è la stessa.
Gli israeliani sapevano però che un’estradizione diplomatica sarebbe stata difficile, se non impossibile, da ottenere. Così la sera dell’11 maggio 1960, aspettano che Eichmann scenda alla sua solita fermata per rincasare e qui lo sequestrano, portandolo via in auto e conducendolo poi in una casa sicura. Eichmann verrà spogliato, verrà esaminata quella cicatrice dove ancora si intravede il suo gruppo sanguigno tatuato. A quel punto Adolf si mostra arrendevole, confessa e accetta di essere processato in Israele. C’è da firmare la dichiarazione già pronta ma lui preferisce riscriverla da sé.
Del resto è lui che si è sempre occupato di stilare verbali e documenti. Scriverà da sé quella dichiarazione e la scriverà con la stessa mano con cui nel 1942 trasmise l’ordine di provvedere all’annientamento biologico degli ebrei per la soluzione finale.
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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