Nel 1962 l’isola era sempre inavvicinabile. Davanti alla baia di San Francisco quel maledetto scoglio era una terribile prigione federale. Tanti ci avevano provato a fuggire. Nessuno ce l’aveva mai fatta. Per colpa delle correnti si diceva, ma anche perchè al suo interno, la prigione, era davvero ben costruita. Gli americani di carceri se ne intendono. C’è però qualcuno che sostiene un’altra teoria: gli americani amano costruire galere da dove è comunque possibile fuggire, perchè poi ne fanno un film. Ad Alcatraz è andata più o meno in questa maniera: tre detenuti, per mesi, hanno costruito con delle molliche di pane delle teste. Hanno scavato con un cucchiaio un buco da dove era possibile giungere oltre l’intercinta, hanno lasciato le teste di mollica sopra il cuscino e hanno salutato Alcatraz. Quando si dicono le sfide. Ci sono riusciti. Tanto che dal giorno quella prigione, quello scoglio nell’oceano è divenuta una normale prigione federale. Prima declassata miseramente e poi frettolosamente chiusa. Oggi c’è un museo. Si pagano sessanta dollari per fare il “giro” del carcere. Quando entri senti i reali rumori delle guardie e dei detenuti. Sono riprodotti fedelmente. Vendono anche le t-shirt e i giubbotti che hanno utilizzato gli attori nel famosissimo film “Fuga da Alcatraz” con uno strepitoso Clint Eastwood. I tre fuggitivi non furono riacciuffati. Quando penso a questa storia mi viene in mente sempre l’Asinara, la fuga di Boe del 2 settembre 1986 e la chiusura successiva dell’isola. Ma noi mica siamo americani e, chiaramente, per noi le evasioni son tutta un’altra storia.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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