Una canzone avvolge un incontro, una sensazione, ha sempre un grande potere evocativo. Per Fabrizio De André è sempre stato così e sapere che sono passati già diciotto anni da quell’undici gennaio del 1999, giorno in cui decise di lasciarci, mi provoca una certa malinconia. Inutile girarci intorno: è stato tra i più bravi e completi autori di musica leggera italiana. Io, oggi, lo voglio raccontare con una mia storia personale, legata alla scoperta della sua canzone e della sua voce che, sino all’età di 14 anni, non la conoscevo affatto. Furono Annalisa e Antonella, due sorelle, amiche di Antonio e Mario a farmi sentire, in una serata estiva, questa strana canzone: “il pescatore”. Fin dalle prime note capii che si trattava di qualcosa di assolutamente diverso dal panorama della musica che esisteva in quel momento. Quella sera ritornati a casa confuso. Anche per colpa dei capelli a caschetto di Antonella e dei sorrisi di Annalisa, ma quella voce così profonda, così vera, mi aveva conquistato. Non c’era la possibilità di scaricare musica, e non c’era neppure la possibilità di cercare notizie nelle enciclopedie della biblioteca. Però avevo ottenuto in prestito, per una sera e con la promessa di restituirlo subito, il 45 giri de “il pescatore” dove, al lato b, quello riempitivo e mai ascoltato da nessuno, c’era la canzone “marcia nuziale”. Ho sempre amato il lato b dei dischi e della vita. Decisi di ascoltarla subito. Fu chiaramente sconvolgente. “Matrimoni per amore, matrimoni per forza”, così cominciava quella canzone che giocava con la borghesia e i falsi professori. Un matrimonio dei genitori con un carro da buoi. Canzone dolcissima, un racconto che pareva uscire dalle penne di Boccaccio e di Petrarca con la sposa in pianto con i fiori di campo in mano. Nozze bagnate che continuarono contro Dio e contro gli Dei. Una canzone con chitarra e armonica, qualcosa di magico, di unico di bello. Bellissimo. Poi passai al lato A e capii la grandezza di quell’uomo che riusciva a trovare la bellezza dentro le cose che si ritenevano sporche: anche da un assassino. Ecco perché mi sono innamorato di Fabrizio De André: perché riusciva a colorare le curve della vita. Ed ecco perché oggi mi manca immensamente insieme al pescatore, a Bocca di Rosa, a Nancy, all’amico fragile che è stato e che ha saputo viaggiare tra le curve degli uomini.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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