Ci sono romanzi di formazione. Che servono, cioè, a costruire il sentiero dove passerà il nostro futuro. Il mio primo vero romanzo letto da adolescente fu “la tregua” di Primo Levi. Prima di tutti i libri di Pavese. Non so perché dagli scaffali della biblioteca dell’Umanitaria, ad Alghero, scelsi proprio quel libro bianco della Einaudi, con una piccola foto in bianco e nero. Lo lessi però in meno di due giornate. Tutto d’un fiato. Sentii esplodere il cuore. Quel romanzo, quella storia, quella deportazione, quelle atrocità mi trasportarono in una realtà che io pensavo lontana, lontanissima. Lessi il libro nei primi anni settanta. Erano trascorsi meno di trent’anni dall’orrore dell’olocausto. Primo Levi morì, in circostanze piuttosto misteriose, l’11 aprile del 1987. Forse un incidente domestico (caduta dalle scale) forse un incidente voluto (suicidio). Chissà. Quel giorno lo ricordo molto bene perché all’Asinara si giocava una partita di campionato tra la diramazione dei detenuti della centrale e quella di Trabuccato. Era l’ultima partita e avremmo consegnato le coppe. La sera, a partita finita, accesi nella mia casa di Cala d’Oliva il televisore e appresi la notizia. Fu per me come un colpo al cuore. Durissimo. Come quando, la prima volta, avevo letto “la tregua”. Mi apparvero le sue parole, la sua storia, quelle atrocità vissute e subite, quella camminata incredibile, dal campo di concentramento di Auschwitz sino all’arrivo a Torino. Dentro quel silenzio interminabile che mi regalava l’Asinara, quella sera sentii anche il silenzio del mondo. In quel viaggio c’era tutta l’atrocità e l’inutilità della guerra, dell’odio, della terribile divisione degli uomini in base alla razza. Quelle scarpe pesanti che raccontavano atroci verità. Ecco, se vi capita, rileggete Primo Levi. Ha scritto cose sublimi, enormi, inenarrabili a volte. Leggete “la tregua” e “Se questo è un uomo”. Troverete il silenzio assoluto della ragione. Quello che, per intenderci, genera mostri.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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