È lungo e stretto quel corridoio del palazzo di giustizia che un piccolo corteo percorre quasi in fila indiana. Il clima è torrido, fra pochi giorni sarà ferragosto e quelle sei persone sono stanche morte, reduci da quattro ore di interrogatorio. Il primo uomo a capo della processione è un giudice che, in quel momento, non è più un giudice ma un indagato: Luigi Lombardini.
Dietro di lui, arrivati da Palermo, il procuratore Caselli, il vice Aliquò, i sostituti procuratore Lisa Sava, Antonio Ingroia e Giovanni Di Leo che, dopo l’interminabile colloquio, gli notificano un decreto di perquisizione della Polizia Giudiziaria col quale intendono procedere alla perlustrazione del suo ufficio. Il giudice annuisce, entra per primo, chiude improvvisamente la porta alle sue spalle e il boato di una 357 magnum rimbomba negli uffici semideserti del Tribunale di Cagliari.
Perché quel giudice si è ucciso? E, soprattutto, chi è quel giudice?
Mario Uda, un poliziotto che gli è stato a fianco per una vita, lo tratteggia con due pennellate in apparenza contrastanti: da un lato il giudice-sceriffo, crudo, energico nei modi e nei metodi, un antieroe che affronta i problemi svelto e sollecito, ma muovendosi talvolta oltre il confine della legalità; dall’altro, il talentuoso funzionario dall’intuito straordinario e, proprio per questo, perseguitato da una letale congrega di biliosi colleghi. Non possiamo sapere da che parte pendesse l’ago della bilancia, ma non si può escludere che le due parti convivessero, nemmeno tanto pacificamente, all’interno di uno stesso uomo.
– Era un giudice istruttore, ma certo conduceva le indagini non nel rigoroso rispetto delle regole processuali – afferma in un’intervista Luigi Concas , noto avvocato penalista cagliaritano.
Lombardini è lo specialista dei rapimenti e fino al 1989 è stato Giudice Unico per i sequestri di persona in Sardegna, la cui totale giurisdizione nel territorio gli regala un’autonomia d’azione pressoché illimitata, che gestisce in maniera forse discutibile.
Ma per capire come si siano davvero generati i fatti che hanno ingarbugliato la matassa fino al drammatico esito finale, occorre definire lo spartiacque che, rappresentato dalla legge del 1991 sul blocco dei beni, ha impresso una svolta alla gestione anarchica dei sequestri. Quelle trattative che fino ad allora erano gestite sostanzialmente tra famiglie, intermediari e banditi, talvolta con l’intervento marginale delle forze dell’ordine, dopo il ’91 cambiano radicalmente aspetto: il pubblico ministero può infatti far mettere sotto sequestro i beni del rapito e chiunque riesca, eludendo il blocco, a far giungere i soldi ai sequestratori può essere perseguito penalmente. La figura dell’intermediario cambia la sua fisionomia e si muove in un perimetro assai nebuloso, dove è difficile capire se le azioni intraprese per la liberazione restano all’interno di un recinto legale o se lo oltrepassano inesorabilmente.
Ma c’è un’altra ombra che grava pesante sulla figura di Luigi Lombardini: si dice che fosse all’interno di una loggia che stipulava coi ricchi imprenditori una sorta di Polizza antisequestri. Giace infatti, pressoché dimenticata, presso la procura di Oristano una denuncia sporta da un facoltoso imprenditore cagliaritano, Carlo Ibba, che riferisce di alcune persone che gli avrebbero suggerito di versare un contributo in denaro per mettersi al sicuro dal rischio di rapimenti. Si sospetta a quel punto di una struttura apposita con la finalità di mediare sui sequestri, una sorta di apparato occulto finanziato proprio dalle “polizze” versate dagli imprenditori.
E, se esisteva, il giudice Lombardini ne faceva parte o era forse diventato inconsapevole strumento?
Questo non lo possiamo sapere, ma una cosa è certa: il primo obiettivo del magistrato era la salvezza del sequestrato. – Per conseguirlo non gli importava di sporcarsi le scarpe con lo sterco di pecora, così come accettava senza remore il denaro per far costituire i latitanti. – riferisce un agente molto vicino al funzionario
Quando Silvia Melis viene sequestrata, il 12 febbraio del 1997, il blocco dei beni è ormai consuetudine. In quel frangente e in quella zona ci sono solo due persone che possono indossare i panni di possibili mediatori: uno è un avvocato di Nuoro e si chiama Antonio Piras, l’altro è Luigi Lombardini.. Ed è proprio a causa della condotta tenuta in relazione a quel sequestro che il giudice finisce sotto indagine, il suo ruolo è apparso ambiguo sia durante le trattative per la liberazione, sia dopo il rilascio. Mentre Silvia è nelle mani dei rapitori, il padre, Tito Melis, riceve un invito a un appuntamento segreto all’aeroporto di Cagliari dove l’uomo che lo attende è proprio il giudice Lombardini il quale gli sollecita, paventando i gravi rischi che corre l’ostaggio, il versamento di un altro miliardo di lire (uno era già stato versato) all’avvocato Antonio Piras, accompagnato da una liberatoria con la quale Melis, dichiarando il falso, avrebbe dovuto affermare che la Procura di Cagliari autorizzava le trattative. Quei soldi avrebbero dovuto essere parte del riscatto che Grauso, come mediatore, avrebbe versato ai sequestratori, ma i magistrati palermitani a capo delle indagini sospettano che la destinazione fosse molto più privata.
A quel punto le ipotesi di reato a carico di Lombardini sono tante: – tentata estorsione, per il nuovo versamento, poi non effettuato; – estorsione, per la richiesta della lettera, effettivamente redatta; – falso e calunnia, per il contenuto della lettera.
Chi lo conosceva bene e ha letto il verbale del suo ultimo interrogatorio non ritrova, tra le righe meste e rassegnate, l’uomo energico e vigoroso che Lombardini era stato fino ad allora. Se si trattasse di vergogna, rimorso, paura o l’insopportabile senso di impotenza di un innocente non lo sapremo mai.
Ma forse quel colpo di pistola è stato solo l’ultimo atto formale di una morte che, di fatto, era già avvenuta molte ore prima.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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