In realtà non è che l’imperatore giapponese avesse una preferita. Cioè, magari qualche geisha l’avrà anche avuta, non lo so, fatti suoi. E al massimo dell’imperatrice. Ora io voglio solo dire che “La bagassa di Hirohito!”, l’urlo disperato di una notte di dicembre del 1941 emesso in una tipografia di Sassari, volò via dai fumi di piombo fuso e arrivò al cielo determinando la rovina del Giappone. Dico cazzate? Leggete questa storia mai rivelata se non in riservate conversazioni tra i testimoni e pochi loro intimi. E poi ditemi se non ho ragione. Innanzitutto la data del 10 novembre è quella dell’incoronazione di Hirohito, avvenuta nel 1928 e quindi ben sette anni dopo l’effettivo inizio del suo regno. E comunque cito questa soltanto perché oggi è il 10 novembre, ma in realtà con quello che vi devo raccontare c’entra quanto Michael Jackson entrava al Sert. Poco e niente. La data importante è il 7 dicembre del 1941, bombardamento giapponese su Pearl Harbor. L’Italia è in guerra a fianco della Germania e del Giappone e gli Usa sono un po’ per intervenire e un po’ no. Il presidente vorrebbe mettere i piedi nel piatto europeo e scatenarsi contro Hitler e Mussolini, ma c’è un buon pezzo di classe dirigente e di popolo del cuore profondo americano eccetera eccetera (giro di lapidatori di negri, in parole povere) che gli dice “fatti i cazzi tuoi e non metterti in mezzo sennò ti facciamo fuori e mettiamo Trump”. Insomma, una situazione di stallo che come è noto venne superato dal bombardamento di Pearl Harbor che svegliò il “gigante addormentato”, altra cazzata colossale perché quando si tratta di farsi i comodi suoi l’America non dorme mai. Comunque al momento la situazione bellica stagnava con lieve vantaggio per i tedeschi, almeno nella percezione popolare. E gli italiani al guinzaglio gongolavano. C’era una certa relativa tranquillità anche nella sede dell’Isola, il quotidiano sassarese che aveva sostituito La Nuova Sardegna fatta fuori dal regime fascista. Sapete quella storia che un battito d’ala di farfalla in una parte del mondo può provocare un terremoto dall’altra parte? Bene. Quella tarda serata si stavano verificando due fatti coincidenti che determinarono la rovina del Giappone. Il primo: gli orari di chiusura delle pagine in tipografia a causa del coprifuoco erano stati anticipati proprio a partire da quel giorno; il secondo: il proto (cioè il direttore di tipografia), in previsione del rientro anticipato a casa, aveva comprato alla borsa nera una cordula di agnello e la moglie l’aveva preparata in umido con pomodori secchi e piselli trovati chissà come. L’intero lavoro della giornata era quindi trascorso all’insegna di quell’aspettativa di cena che doveva introdurre la valanga natalizia dell’agnello arrosto e in umido (sempre alla borsa nera, allora i tipografi dei giornali guadagnavano bene) e di tutto ciò che rendeva la guerra lontana. Gli altri tipografi e i giornalisti si erano resi conti che il proto quella sera aveva premura. Lui, così scrupoloso e severo con i suoi operai, passava sopra gli errori: uno di quei giorni in cui il lavoro andava fatto più in fretta che bene. I pesanti mezzi rulli di piombo con le pagine impresse al rovescio erano già montate sui cilindri della vecchia rotativa che si diceva fosse appartenuta all’Avanti! devastata dagli squadristi e mancava soltanto la prima pagina perché la locomotiva girasse e si ripetesse anche quella notte il superbo, quotidiano e spero eterno miracolo della stampa di un giornale. Ma mentre il rotativista più robusto stava per collocare la pagina semicilindrica al suo posto, si udì l’urlo del redattore capo -Blocca la prima! Il proto si voltò infastidito -E perché? -Boh, ha telefonato il direttore dalla redazione. Ora scende. Neanche detto, entrò il direttore con un foglio in mano che sventolò verso i redattori presenti in tipografia. Si vedeva da lontano che era un lancio Stefani, l’agenzia di stampa che alla caduta del Regime sarà sostituita dall’Ansa. Si radunò un capannello di redattori intorno a lui sino a che uno si staccò e andò dal proto. -La prima resta bloccata in attesa di direttive del Minculpop. Doveva essere roba grave se l’agenzia di regime non si sentiva di autorizzare la pubblicazione della notizia e attendeva ordini del Ministero della Cultura Popolare. Il proto fremeva -Ma cosa cazzo è successo? -Sembra che un aereo giapponese abbia sorvolato una base navale americana sul Pacifico e abbia sganciato una bomba. -E a noi cosa cazzo ce ne fotte? -Come? Ma non capisci che se quelli la prendono male entrano in guerra. -A quest’ora? Il redattore, comprensivo, non rispose e corse dal direttore che lo chiamava. Tornò dopo un po’ dal proto. -Buone notizie. Il Minculpop dice di non pubblicare niente. Un incidente. Tutto chiarito. Il proto guardò l’orologio e si rivolse subito ai suoi uomini -Via, via! Fate girare. Veloci! Si udì il primo sferragliamento che sembrava la partenza del treno dalla stazione. Tum… tum… tum… e poi più ravvicinato tum tum tum e già chi stava accanto alla rotativo non poteva sentire altri rumori se non quello della formidabile macchina. Ma prima che il tum tum tum volasse verso il rapido e irrefrenabile tutum-tutum-tutum, il proto si sentì toccare la spalla. Era il direttore in persona che gli urlava nell’orecchio. -Ferma tutto. Blocca la rotativa. Il proto impallidì. -E perché? -Blocca, ti ho detto! Il proto sollevò una mano verso uno dei rotativisti e nel silenzio improvviso si udì la voce del direttore. -Gli aerei giapponesi erano più di uno e sembra che una nave americana sia stata colpita. Bisogna dare la notizia. -Oggi? -E quando cazzo la diamo, a Natale? Il direttore era di solito uno educato, ma quella notte, sarà perché se l’America entrava in guerra erano cazzi amari e sarà perché anche lui magari se ne sarebbe voluto andare a casa, rispose così al proto. Il quale immusonito andò in un angolo borbottando. -Allora ditemi voi quando siamo pronti. Il redattore incaricato della modifica lo rabbonì. -Stai tranquillo, metti un linotipista alla tastiera. Gli detto al volo due righe e intanto fai comporre questo titoletto a mano su una colonna. In un attimo lo sostituiamo con un altro e mandiamo il giornale in stampa. Il proto sollevò la spalle, diedi ordini a un linotipista e prese lui stesso i caratteri per comporre il titolo. In pochi minuti la pagina fu pronta e si udì il consolatorio fracasso della rotativa, mentre il proto guardava l’orologio e pensava che tutto sommato, anche se un po’ in ritardo, avrebbe mangiato la cordula con i piselli. Ma mentre uno spedizioniere portava il primo pacco di copie stampate verso il furgoncino che attendeva sulla strada con il motore acceso, il proto assistette a una scena improvvisa e orripilante: il direttore spuntò dal niente e con un gesto imperioso dell’indice gli impose di tornare indietro con le copie. -Butta via. Sono da rifare. Poi, rivolgendosi al proto -Ferma la rotativa. C’è da rifare tutto. Non lo so a che ora stampiamo, stanotte. Terreo, il proto si limitò a rivolgere al direttore un gesto interrogativo con il capo. E lui rispose -Erano centinaia di aerei. Hanno affondato l’intera flotta americana. L’entrata in guerra è sicura. Fu allora che il proto, pallido, teso, gonfio di rancore a causa del sugo che si sarebbe rappreso intorno ai piselli e all’intestino tenero e dolce dell’agnello, rivolse gli occhi al soffitto alto e scuro di vapori di piombo e lanciò la storica, omerica maledizione. -La bagassa di Hirohito! E la maledizione volò al cielo guidando la riscossa americana sino a Iwo Jima e Okinawa e ai terrificanti funghi di Hiroshima e Nagasaki. Nel grande dibattito che nel dopoguerra si aprì sui piani contrapposti etico e militare a proposito di quelle due bombe atomiche, il proto interveniva spesso, severo, affermando che lui, le bombe, le avrebbe entrambe ficcate in culo all’imperatore: tra la solidale approvazione e i commenti dei tipografi e dei giornalisti testimoni dello storico evento.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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