Il 10 giugno del 1924, a Roma, il deputato socialista Giacomo Matteotti viene rapito ed ucciso da una squadraccia della polizia politica fascista composta da cinque uomini. È un delitto simbolo della natura repressiva del fascismo e che segna il definitivo passaggio nella dittatura, perché apre la strada a riforme ancora più restrittive verso le libertà individuali. Giacomo Matteotti, trentino, aveva 39 anni e la sua attività parlamentare si andava distinguendo per la determinata opposizione al governo Mussolini. Il 30 maggio di quello stesso 1924, Matteotti aveva pubblicamente denunciato alla Camera i brogli delle precedenti elezioni politiche, mettendo in discussione l’effettiva libertà di espressione del voto da parte della cittadinanza e chiedendo che le consultazioni venissero annullate. Consapevole dei rischi che correva e del clima intimidatorio nei suoi confronti, domandò ai compagni di partito di scrivere il discorso funebre per lui. Nel pomeriggio del 10 giugno, mentre si recava a piedi a Montecitorio, venne aggredito e caricato su un’auto (risultata poi di Filippo Filippelli, direttore del Corriere Italiano) a bordo della quale si trovavano Amerigo Dumini, Albino Volpi, Amleto Poveromo, Augusto Malacria e Giuseppe Viola. Matteotti cercò di opporre resistenza e riuscì a gettare fuori da un finestrino il suo tesserino da giornalista, ma venne poi ucciso da due coltellate al petto infertegli da Giuseppe Viola. Il suo cadavere venne poi abbandonato a circa 25 km da Roma, nella zona della Macchia della Quartarella. Il corpo di Matteotti venne ritrovato solo nel mese di agosto, per puro caso. Mussolini, a quel punto, si era assunto la responsabilità politica dell’esecuzione, ma aveva respinto ogni diretto coinvolgimento. Il dittatore dispose per Matteotti funerali di Stato, ma da tenersi a Fratta delle Polesine, luogo di nascita del deputato assassinato. Il processo fu condizionato da continue interferenze da parte del governo, consistite anche nella revoca delle indagini affidate al temuto magistrato Mauro Del Giudice. Tre dei cinque componenti il commando vennero condannati a pene lievi, altri due (Viola e Malacria) assolti.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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