E’ forse inutile ripercorrere i fatti che hanno occupato per oltre un anno le pagine dei quotidiani, li ricordiamo bene, anche a distanza di così tanto tempo. Sono entrati a far parte della storia e anche dell’immaginario di tutti i lettori, fino a trasformare Lorena Bobbitt in un’icona della vendetta “fai da te”. Era la notte del 23 giugno del 1993 quando Lorena, allora 23enne, subisce l’ennesima violenza da parte del marito John. In preda a un raptus afferra un coltello e si avvicina a lui, che, dopo averla stuprata, dorme profondamente.
Quella col coltello in mano è una donna esasperata dai soprusi di un marito violento, una donna torturata con tecniche militari, una donna costretta a rapporti sessuali che lei non vuole. Quel coltello non è solo un’arma per ferire, nella sua lama brilla la potenza di un riscatto. Oltre a quella della vendetta. Quindi evira il marito, sale in macchina e, dopo aver percorso svariati km, abbassa il finestrino e lancia il sesso dell’uomo in mezzo a un prato. Verrà recuperato qualche ora più tardi e ricucito addosso al suo proprietario grazie a un intervento chirurgico durato 9 ore e mezzo.
Esattamente il 10 gennaio di ventidue anni fa, mentre iniziava il processo che vedeva Lorena seduta nel banco degli imputati, numerose associazioni femministe portavano avanti un’agguerrita campagna in sua difesa. Ma la dinamica della vicenda assunse già in tribunale tinte boccaccesche, che distolsero l’attenzione dal vero dramma: quello della violenza domestica. Lo stesso John alimentò il clima umoristico innescatosi al processo, cercando di ricavare da quell’incidente una proficua pubblicità personale. E paradossalmente fu proprio lui che, avrebbe dovuto essere parte lesa, riuscì a trarre maggior profitto da tutta la vicenda.
Lorena venne assolta dall’accusa di lesioni volontarie, ma obbligata a trascorrere un mese e mezzo in una clinica psichiatrica. Il proscioglimento dall’accusa non si configurò come un successo, perché il vero trionfatore su tutti i fronti fu proprio John. E quella di Lorena è stata, è il caso di dirlo, una vittoria mutilata.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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