La stagione del terrore delle Brigate Rosse inizia, di fatto, esattamente quarantadue anni fa. È il 10 dicembre del 1973 quando un commando composto da Alberto Franceschini, Renato Curcio, Alfredo Bonavita e Paolo Maurizio Ferrari prende in ostaggio il capo del personale Fiat Ettore Amerio. Lo prelevano nei pressi della sua casa torinese, di primo mattino, intercettando il cammino del dirigente verso lo stabilimento di Mirafiori. E lo nascondono a poche centinaia di metri dal luogo dell’aggressione, senza neppure sentire il bisogno di uno spostamento lungo e rischioso. Il sequestro dura otto giorni, durante i quali Amerio viene interrogato personalmente da Renato Curcio, l’ideologo del gruppo brigatista. Il quale si rivolge al sequestrato sempre con un rispettoso “lei”. Amerio verrà rilasciato il 18 dicembre, dopo la liberazione tornerà a casa in taxi e la mattina dopo sarà regolarmente al suo posto di lavoro. Otto giorni di prigionia, ben più delle poche ore di “fermo” di cui era stato vittima Idalgo Macchiarini, sequestrato nel marzo del 1972: Macchiarini era direttore del personale della Sit Siemens, una delle fabbriche dove è avvenuta la gestazione della lotta armata. Il sequestro di Amerio meritò le prime pagine dei giornali e fece conoscere alla gente quella stella a cinque punte sbilenca, il simbolo brevettato da Renato Curcio, Mara Cagol e Alberto Franceschini per identificare le Brigate Rosse. Sul perché quella stella fosse storta intellettuali e politologi spesero le più fantasiose interpretazioni, non potendo sapere che era piegata su un lato per l’incapacità dei tre fondatori delle Br di disegnarne una dritta, come ammise Franceschini nelle sue memorie. Improvvisazione e pressappochismo, ma anche la convinzione di poter decidere della libertà e della vita di quegli uomini individuati quali nemici della rivoluzione proletaria. Amerio venne chiamato a rispondere, a dar retta alle rivendicazioni, dei licenziamenti alla Fiat, così come Macchiarini si vide imputare l’uso di forme di sfruttamento dei dipendenti alla Sit-Siemens. “Colpirne uno per educarne cento”, avvertivano gli slogan che i carcerieri appendevano al collo dei sequestrati. Erano anni di violenza, di destra e di sinistra. Aperta dalla strage di piazza Fontana, proseguita con l’uccisione del commissario Calabresi nel 1972 e la morte violenta di Giangiacomo Feltrinelli, col rogo di Primavalle che costò la vita ai fratelli Mattei, la cui unica colpa era quella di essere figli di un segretario missino. Nell’aprile del 1974, quando verrà sequestrato il magistrato genovese Mario Sossi, le Brigate Rosse porteranno quello che loro stesse chiameranno “l’attacco al cuore dello Stato”. Un attacco che dai sequestri passerà a forme di violenza sanguinaria quando, dopo l’arresto di Curcio e Franceschini, l’organizzazione passerà sotto il controllo militare di Mario Moretti. I primi a cadere, l’8 giugno del 1976, furono due sardi: il giudice cagliaritano Francesco Coco e il suo autista di Ardauli Antioco Deiana, uccisi a Genova dalla colonna genovese delle Br guidata da Riccardo Dura.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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