Il dieci marzo del 1964 Paul Simon e Art Garfunkel registravano una delle canzoni più famose e fortunate nella storia della musica leggera: The sound of silence.
L’abbiamo ascoltata tutti, io credo. Io però posso dire di essere tra coloro che non l’avevano capita. Mastico l’inglese, me la cavo. Ma per una strana forma di pigrizia difficilmente mi metto a tradurre i testi delle canzoni. E lascio che le parole scorrano nelle mie orecchie per anni e anni insieme alla musica, senza mai preoccuparmi di cosa vogliano dire. È una specie di dislessia, io credo. E infatti mi capita anche con le canzoni in italiano.
The Sound of silence, lo so perché mi sono messo a tradurre il testo per questa agenda, parla di comunicazione. Il pretesto narrativo è abbastanza classico, un sogno, una visione, una rivelazione che consente all’autore di uscire dal contesto per poterlo raccontare. E il contesto è reso in modo surreale: l’autore, solo nella notte, improvvisamente vede una folla illuminata da una luce al neon. Gente muta, o meglio, gente che parla ma non comunica, sente ma non ascolta, scrive canzoni che nessuno canta. L’autore tenta di spezzare l’incantesimo, dice che “il silenzio avanza come un cancro”, cerca di scuotere quelle persone, ma inutilmente. La folla è come ipnotizzata dal neon, e l’insegna luminosa diffonde un messaggio enigmatico: “le parole dei profeti sono scritte sui muri della metropolitana e negli atrii dei condomini e sono un sussurro nel suono del silenzio”.
Ecco, io non credo di averla capita bene questa canzone, neanche ora che ho fatto lo sforzo di tradurla. Mi ero fatto un’altra idea, completamente diversa. Fidandomi del titolo, avevo sempre pensato che il silenzio fosse una cosa buona. L’attacco “hallo darkness my old friend” mi aveva sempre fuorviato. Associavo il silenzio all’oscurità e pensavo fossero entrambe cose buone. Certo, quel passaggio del silenzio che sale come un cancro un po’ strideva. Ma poi, ogni volta, venivo acchiappato dalla musica e quelle incongruenze del testo andavano via come acqua sotto un ponte. E dunque no, il silenzio è un pericolo e ognuno di noi può restarne vittima.
Insomma, a conti fatti ci ho rimesso una canzone. “The sound of silence” occupava uno spazio del mio mondo che adesso è rimasto mezzo scoperto. C’è ancora ma non è più la canzone che credevo fosse.
Almeno credo. Certo, in compenso ne ho scoperto una nuova.
Ma come potranno conciliarsi la vecchia e la nuova canzone nella mia testa?
C’è solo un modo per verificare.
Fare un po’ di silenzio, mettermi le cuffie, e ascoltarla un’altra volta.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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