Il 1 novembre del 1911 l’ingegner Giulio Gavotti sorvolava sul suo monoplano tedesco Etrich Taube alcune oasi sulla costa settentrionale della Libia, a pochi chilometri da Tripoli. Era un’azione di guerra, perché il ventinovenne Gavotti, genovese, era anche un tenente del corpo di spedizione italiano, già noto alle cronache del tempo per essere stato arrestato a causa di una sconsiderato sorvolo del Vaticano, subito dopo aver conseguito il brevetto di pilota. Quel volo di Gavotti sui cieli dell’Africa ha una sua notevole importanza, perché fu il primo bombardamento aereo della storia, anche se compiuto con modalità rudimentali e una certa improvvisazione. Se lo inventarono gli italiani che, com’è noto, all’estero hanno portato solo civiltà, pace, pizza e spaghetti. Poche settimane prima l’Italia aveva dichiarato guerra all’Impero Ottomano, secolare impero ormai in disfacimento, per ottenere il possesso di quel pezzetto d’Africa affacciato sul Mediterraneo. I turchi avevano opposto una flebile resistenza, fiaccata nel giro di pochi mesi, cosicché nel 1912 il primo ministro Giovanni Giolitti aveva potuto trionfalmente annunciare il possesso della Tripolitania e della Cirenaica. Torniamo a Gavotti, le cui imprese eroiche – sottolineate da medaglie al valore militare e dalle celebrazioni dei poeti D’Annunzio e Pascoli – sono consistite nel lancio di bombe su due accampamenti turchi ad Ain Zara e nell’Oasi di Tripoli. Lasciamo che a parlare sia lo stesso Gavotti, che in una lettera inviata al padre raccontò la sua azione con dettagliato resoconto. “Ho deciso di tentare oggi di lanciare delle bombe dall’aeroplano. È la prima volta che si tenta una cosa di questo genere e se riesco sarò contento di essere il primo. Appena è chiaro sono nel campo. Faccio uscire il mio apparecchio. Vicino al seggiolino ho inchiodato una cassettina di cuoio; la fascio internamente di ovatta e vi adagio sopra le bombe con precauzione. Queste bombette sono sferiche e pesano circa un chilo e mezzo. Nella cassetta ne ho tre; l’altra la metto nella tasca della giubba di cuoio. In un’altra tasca ho una piccola scatoletta di cartone con entro quattro detonatori al fulminato di mercurio. Parto felicemente e mi dirigo subito verso il mare. Arrivo fin sopra la “Sicilia” ancorata a ovest di Tripoli dirimpetto all’oasi di Gurgi poi torno indietro passo sopra la “Brin”, la “Saint Bon” la “Filiberto” sui piroscafi ancorati in rada. Quando ho raggiunto 700 metri mi dirigo verso l’interno. Oltrepasso la linea dei nostri avamposti situata sul limitare dell’oasi e mi inoltro sul deserto in direzione di Ain Zara altra piccola oasi dove avevo visto nei giorni precedenti gli accampamenti nemici (circa 2000 uomini). Dopo non molto tempo scorgo perfettamente la massa scura dell’oasi che si avvicina rapidamente. Con una mano tengo il volante, coll’altra sciolgo il corregile che tien chiuso il coperchio della scatola; estraggo una bomba la poso sulle ginocchia. Cambio mano al volante e con quella libera estraggo un detonatore dalla scatoletta e lo metto in bocca. Richiudo la scatoletta; metto il detonatore nella bomba e guardo abbasso. Sono pronto. Circa un chilometro mi separa dall’oasi. Già vedo perfettamente le tende arabe. Vedo due accampamenti vicino a una casa quadrata bianca uno di circa 200 uomini e, l’altro di circa 50. Poco prima di esservi sopra afferro la bomba colla mano destra; coi denti strappo la chiavetta di sicurezza e butto la bomba fuori dall’ala. Riesco a seguirla coll’occhio per pochi secondi poi scompare. Dopo un momento vedo proprio in mezzo al piccolo attendamento una nuvoletta scura. Io veramente avevo mirato il grande ma sono stato fortunato lo stesso; ho colpito giusto. Ripasso parecchie volte e lancio altre due bombe di cui però non riesco a constatare l’effetto. Me ne rimane una ancora che lancio più tardi sull’oasi stessa di Tripoli. Scendo molto contento del risultato ottenuto. Vado subito alla divisione a riferire e poi dal Governatore gen. Caneva. Tutti si dimostrano assai soddisfatti”.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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