I misteri di Stato non esistono soltanto in Italia. Sono passati 33 anni dall’assassinio del primo ministro svedese Olof Palme, abbattuto (l’espressione non è casuale e tra qualche riga lo capirete) da due colpi di pistola, in pieno centro di Stoccolma, la sera del 28 febbraio 1986, mentre rientrava dal cinema assieme alla moglie Lisbeth.La sua morte venne dichiarata sei minuti dopo la mezzanotte, il 1 marzo.A colpire con una Smith&Wesson fu un uomo solo, probabilmente a conoscenza del fatto che per quel fine settimana il capo del governo aveva deciso di rinunciare alla scorta. Trent’anni dopo, quel sicario non ha un nome e probabilmente l’omicidio del leader socialdemocratico resterà un mistero.Tanto più misterioso perché avvenuto in un Paese, la Svezia, dove la lotta armata di stampo politico era sconosciuta.Chi era Palme? Era, come si diceva, il capo del governo svedese, carica che aveva già ricoperto alla fine degli anni sessanta, appena quarantanne, quando la sua personalità carismatica si impose sulla scena internazionale attraverso la guida del partito socialdemocratico.Ma Olof Palme era molto di più: fu un difensore della civiltà e della libertà, nonché un nemico delle ingiustizie, anche e soprattutto quelle compiute oltre i confini del suo Paese. Se per una volta avete pronunciato il motto “bisogna combattere la povertà, non la ricchezza”, sappiate che quel manifesto è un’invenzione di Palme e dovete rendergliene merito.Palme fu un fiero avversario della corsa agli armamenti di quegli anni, finanziò Nelson Mandela e combatté l’apartheid, contestò aspramente la guerra in Vietnam fino a causare una crisi diplomatica con gli Stati Uniti ma ebbe parole di condanna anche per l’orso russo, fu il primo leader occidentale ad incontrare ufficialmente Fidel Castro a Cuba e fu l’incaricato dell’Onu per la risoluzione del conflitto tra Iraq e Usa. Una figura esuberante, politicamente molto reputata.Chi lo uccise e perché Olof Palme venne ucciso? Inizialmente, venne accusato uno sbandato svedese che poi però uscì assolto dal processo.Quindi prese piede la pista internazionale, che imboccò anche la strada italiana e, naturalmente, approdò alla Loggia P2 e a Licio Gelli.Accadde che un giornale svedese, nel 1990, riportò la notizia del coinvolgimento di Gelli e di alti funzionari americani di Washington. Su quella pista si buttò il giornalista della Rai Ennio Remondino, con una lunga inchiesta che portò alla luce l’esistenza di un telegramma inviato tre giorni prima dell’omicidio da Gelli a tale Philippe Guarino, figura legata ai repubblicani. Il testo era il seguente: “La palma svedese è stata abbattuta”.Sul piano investigativo, quella pista finì in un vicolo cieco nonostante i forti indizi emersi. In Italia, l’inchiesta di Remondino causò l’ira di Cossiga che, rivoltosi al presidente del Consiglio Andreotti, ottenne la rimozione di Nuccio Fava dalla direzione del Tg1 e lo spostamento di Remondino, destinato a remoti fronti di guerra con la qualifica di inviato.E perché Cossiga se la prese a morte?Perché il lavoro di quell’inchiesta finì col disseppellire tutto il programma Stay Behind, organizzato nei paesi Nato per fronteggiare un’eventuale minaccia sovietica, e di conseguenza anche l’organizzazione Gladio, di cui Cossiga fu uno dei padri.Il tutto quando il pericolo russo era ormai cessato, essendo caduto un anno prima il Muro di Berlino.Chi abbia ammazzato Palme ancora non si sa, ma in qualche modo il venerabile Gelli c’entra.Anche stavolta.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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