Ho letto dell’indignazione suscitata dal questionario sottoposto alle famiglie dal Comune di Nettuno, quel sondaggio in cui si chiede agli intervistati quanto si vergognino dei disabili che vivono con loro, in famiglia.
Ricordo di aver avuto un compagno di scuola, qualche decennio fa, la cui famiglia si era fatta carico di un congiunto, già in età avanzata, nato con un forte ritardo mentale. Lui, il mio compagno di classe, non ne parlava mai. Nemmeno sospettai nulla sentendogli ogni tanto emettere suoni inarticolati che, scoprii dopo, dovevano essere riproduzione caricaturale dei tentativi di comunicazione di questo disabile. Seppi di questa presenza misteriosa da un altro compagno di classe che, un giorno, lo era andato a trovare a casa.
Oggi ci indigniamo per un questionario come quello proposto dal Comune di Nettuno, ma è vero che per molti un disabile a casa era, fino a qualche anno fa, motivo di vergogna, l’essere stati colpiti dal castigo divino espresso con una creatura venuta male. Quante volte ho sentito dire, dalle zie di paese, che a quella coppia era nato un figlio “guasto”?. Usavano proprio questo aggettivo: guasto. E mi sembrava, già allora, una forma di crudeltà verbale spinta oltre il limite di ogni immaginabile violenza.
Oggi, nel preparare l’agenda, ho trovato l’articolo che vedete nell’immagine allegata. Il Corriere della sera riferisce di una sentenza pronunciata da un tribunale inglese in data 1 luglio 1960. Vi riporto titolo e catenaccio del pezzo: “Mite condanna in Inghilterra all’uccisore del figlio deficiente. Il bimbo di due mesi era mongoloide”. Nell’occhiello si legge invece che si sarebbe trattato di un “pietoso caso di eutanasia”.
L’estensore dell’articolo racconta la vicenda di un maggiore dell’esercito inglese che in quel 1960 uccise il figlio di due mesi, affetto da sindrome di down, asfissiandolo con il gas domestico. Io scrivo down, allora si scriveva mongoloide. Parola che ogni tanto sento pronunciare dagli adolescenti, come forma di insulto da rivolgere a chi abbia commesso un’azione infelice o sia considerato per sua natura tonto.
La corte inglese condannò ad un anno il maggiore, ritenendolo sì colpevole di omicidio ma non di assassinio e riconoscendogli una sorta di temporanea infermità mentale. Ma quel che mi ha colpito è il tono dell’articolo, intriso di empatia verso il condannato, quasi costretto dalla necessità a sopprimere il figlio.
Sono passati sessant’anni, lo so. Ma nel 2022 c’è chi crede alla Terra piatta e ritiene la pandemia una cospirazione ideata dai poteri per ridurre la popolazione mondiale. Siamo certi di essere così progrediti da poterci vergognare di quel questionario?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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