Ho sempre pensato che la radio fosse molto più progredita della televisione perché gli speaker delle emittenti private, anche quelle nazionali dai grandi ascolti, si possono permettere di usare l’intercalare “cazzo” come una cosa naturale, che di fatto lo è nel nostro sboccato linguaggio comune. Nella televisione, ancora imbalsamata sotto una teca di sacralità, queste libertà non sono concesse. Oppure è che qualcuno si prende molto sul serio, altri meno. La radio rispecchia più sinceramente il paese reale, secondo me. Oggi, 1 febbraio, è l’anniversario di Radio Deejay, nata in questa giornata del 1982. È la radio che da anni ascolto tutte le mattine, quando posso: Trio Medusa, Fabio Volo, Linus e Nicola Savino, Alessandro Cattelan. È la radio che ha lanciato Jovanotti, Fiorello, Gerry Scotti e Amadeus. È la radio che mi permette di sentire le avventure di Aldo Rock. So che per molti di voi è volgare mainstream, ma non ho voglia di giustificare anche i miei gusti. Quando butto l’occhio all’autoradio e ci leggo 88.2 FM, in realtà un po’ di nostalgia la sento. Le voci degli speaker di Radio Deejay, nella mia Gallura, si sentono da quella frequenza: 88.2. Una volta da quella frequenza ci parlavo anch’io, perché quello spazio dell’etere era occupato dalla radio del mio paese: Radio Arzachena Stereo, nata il 4 gennaio del 1977. Io fui ammesso nel 1988, a diciassette anni. Sognavo di fare il giornalista e la radio sembrava un modo semplice e pratico per avvicinarsi al mondo della comunicazione. La prima sede era la chiesa sconsacrata di San Pietro, tutta tappezzata di cartoni di uova, come si usava un tempo negli studi delle emittenti. Quando mi diedero le chiavi per poterci entrare autonomamente era il periodo di Natale e nel centro storico c’era il gran viavai di gente che oggi abbiamo dimenticato. Ricordo due pezzi, tra quelli che andavano per la maggiore in quel periodo: Desire degli U2 e Dont’worry, be happy di Bobby McFerrin. Non avevo il permesso di andare in diretta, però nello studio di registrazione potevo impratichirmi con l’uso degli strumenti che, un giorno, mi sarebbero serviti per la mia trasmissione. Erano le vacanze di Natale e non avevo scuola: entravo in quello studio nel pomeriggio e ne uscivo a notte fonda, ascoltando ogni vinile possibile sui piatti metallici della Tecnichs. La ricordo ancora come un’emozione fortissima, quello spazio da cui mi era consentito di ascoltare tutta la musica del mondo. Le mie prime dirette furono radiocronache di calcio, l’estate seguente mi venne concesso uno spazio nella programmazione del mattino. A volerla raccontare tutto, non è che ci fosse granché da sgomitare. La radio era una cosa per volontari, per gente che oltre ad un minimo di padronanza della lingua aveva tanto tempo libero. La linea editoriale era, diciamo, cattolica, perché la parrocchia era l’azionista di riferimento. Perciò pezzi come “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla erano vietati, poiché nel testo si facevano espliciti riferimenti a parti anatomiche nascoste. Io non lo sapevo e una volta venni ufficialmente richiamato per non aver rispettato la consegna. Un’altra volta, ad un collega speaker scappò di qualificare come “bellissima fighettina” Patsy Kensit, la deliziosa biondina degli Eight wonder. Scoppiò una bufera. Era un altro mondo, era il mondo di trent’anni fa e certe espressioni allora non era ammesse neppure nella più libera delle radio. Però quel mondo resta per me indimenticabile. La prima soddisfazione personale, da aspirante giornalista, la ebbi quando seguivo le dirette del Rally Costa Smeralda. Avevamo trovato il modo di intercettare le frequenze dei cronometristi e riuscivamo così a comunicare i tempi delle prove speciali prima di qualunque altro canale. Gli stessi piloti, nei trasferimenti, ascoltavano noi. Accompagnato da un tecnico, andavo in giro da un riordino all’altro viaggiando come una trottola per il nord della Sardegna. Non c’erano i telefonini e per trasmettere avevo bisogno di una presa telefonica cui collegare la nostra stazione mobile. L’unica era suonare alle porte delle case, le più vicine possibile al luogo in cui avrei intervistato i piloti. Si trovava sempre qualcuno disposto a concedercela, la presa telefonica, perché la radio tanti simpatizzanti. All’arrivo di uno di questi rally, davanti alla stampa specializzata di tutta Europa e a tutte le autorità, la speaker ufficiale della manifestazione mi dedicò, a sorpresa, i complimenti per il nostro lavoro di informazione, dicendo di avermi ascoltato per tutta la giornata. Quella speaker si chiama Luisella Berrino e per chi ha amato la radio rappresenta più di qualcosa. Non era certo il mio talento che l’aveva incantata, ma aveva certamente percepito la passione da mestierante che ci mettevo per essere all’altezza del ruolo. Poi diventammo grandi, venne la legge Mammì e le nostre forze non bastarono a proseguire. Quando il direttore annunciò la cessazione dell’attività, in diretta, fu un momento penoso. La trattativa col gruppo Espresso si era conclusa e le frequenze della radio cedute al grande network nazionale. Mi pare fosse il 1995 e ricordo di aver pianto tanto. Ma quelle lacrime non hanno mai lavato via la magia di quegli irripetibili anni.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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