Alla partenza della 10 chilometri di marcia femminile, ai campionati del mondo di Atene di atletica leggera del 1997, le squadre più forti erano quella russa e quella italiana. All’ultimo momento la piccola siciliana Annarita Sidoti fu preferita ad una compagna di squadra, in non perfette condizioni di forma, e si presentò così al via.
La marcia è una specialità un po’ strana, poco amata dal pubblico, spettacolare solo per gli appassionati. E tuttavia quella fu una gara avvincente, perché Annarita, che doveva essere riserva della squadra, si pose al comando dal primo metro, e con una serie di attacchi successivi sgretolò ad una ad una le resistenze delle avversarie e delle temibili atlete russe.
Si presentò così, al traguardo, la piccola atleta siciliana, alta 1,50 e pesante 42 chili. Con un sorriso grande come il sole.
Se dovessi rispondere alla domanda qual è lo sport più più faticoso del mondo non avrei dubbi. Tremendo è il pugilato professionistico, dove alla fatica si unisce il dolore del colpo martoriato, terribile la fatica del ciclista nelle grandi corse a tappe, dove si alternano salite e discese, pioggia e vento, sole e calore; faticosa è la maratona, dove tutte le stille di energia vengono bruciate nello sforzo; massacrante è il triathlon, dove si passa dal nuoto alla bici alla corsa senza soluzione di continuità. Ma la marcia, secondo me, è la più faticosa di tutte perché, alla fatica organica, si unisce la costrizione di un costante controllo del gesto, una sorta di gabbia psicologica che non ti consente nessuna fuga mentale, pena la squalifica di giudici sempre appostati come avvoltoi.
Una disciplina ad altissimo contenuto tecnico ma dove la differenza la fa la capacità psicologica di sopportare gradi di dolore, di sacrificio, di stress psicofisico, enormi.
Ho visto marciatori giungere, dopo le 5 ore e passa di gara, stremati e semisvenuti al traguardo.
Annarita Sidoti è stata una delle più grandi marciatrici di tutti i tempi, vincitrice di un titolo mondiale e di due titoli europei, pienamente inserita nella grande tradizione italica della specialità.
L’Italia che primeggia nella specialità della grande fatica, forse significa qualcosa, se la simbologia dello sport ha un senso. Significa che questo paese del piagnisteo, della colpa altrui, dell’individualismo, qualcosa dentro lo ha ancora.
O l’aveva, se pensiamo in negativo, colti dal dolore dell’improvvisa e ingiusta morte di Annarita, a soli 45 anni, dopo cinque anni di dura lotta con il tumore.
Non vince lei, ripeteva Annarita riferita alla sua malattia.
Lottava, lo doveva alla sua famiglia, a suo marito e ai suoi tre figli.
La marcia sarà anche sport per chi è in grado mentalmente e fisicamente di sopportare ore e ore di allenamento, per chi sopporta carichi di stress e sacrifici tali da far uscire fuori di senno qualunque persona normale.
Ma quella attitudine alla lotta, alla sopportazione, purtroppo, non rende nessuno completamente invincibile.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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